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Ciao, Willi! scusa, non ti avevo riconosciuto…
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Chiedo scusa, capo. E adesso che hai acquisito nuovamente il tuo ruolo dominante di superiore e maschio, mi potrai perdonare per non aver colto subito che eri tu al telefono!
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Scusa capo. Scusa per il capo e scusa per il maschio. Allora cosa succede in ufficio? Ci sono novità, la mia assenza ha procurato gioie a troppi colleghi? oppure è crollato il morale della truppa?
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- Ah, così il giornale può fare a meno di me …Vabbèh, finchè sono ragazze ad ambire al mio posto e sei tu a decidere… mi preoccuperei di più se fossero uomini, ma tanto tu sei fedele al tuo Pierre.
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- senti Willi, perchè ogni volta che parlo di uomini mi chiedi come sta Matteo? Sì, sono gelosa. Ti faccio notare che non appena ho parlato di uomini hai chiesto del mio uomo
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- Le mie vacanze? cambia discorso. Sì, sospiro… porta un Parigino lontano dalla città per più di tre giorni e soffre di nostalgia. Lo sappiamo come sono fatti…vero, come siamo fatti. Le mie vacanze… E tu non hai niente da dirmi? Matteo sta bene. Certo. Forse un po’ stanco, ma sai come è. Un mese ingrassa perché è nervoso, il mese dopo dimagrisce perché è nervoso. Però la pancetta non gli cala…
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- Raccontarti… Non è facile. No, non ho litigato con Matteo. Sai perchè ci giro così a lungo intorno? Perché mi sono successe cose strane. Che non so cosa vogliano dire…e che non so se voglio dire…
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- Comunque ascolta. Niente lite con Matteo. E del vento del Sud - del suo Sud e forse del mio - potrei dirti che ho imparato a temerlo. No, non Matteo, il vento!
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- Caro, che sei. No. Povero Matteo! Non mi ha portato in barca con il brutto tempo, lasciamelo in pace e ascoltami. Sono stata da lui solo pochi giorni e non siamo andati in barca. Poi, siccome stava lavorando a un caso complesso e faceva di tutto per non lasciarmi sola sottraendosi a impegni importanti, ho deciso di andare a Tolone. Poco prima della città, ancora in collina, c’è una psicologa di Parigi che conosco che fa degli stage Ayurveda.
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- Esattamente. Valérie ha studiato molto a lungo alcune pratiche di rilassamento e concentrazione nel nord dell’India e in Nepal. Ti assicuro, visto che dal tuo silenzio traspare tutto il tuo scetticismo.
Mi aveva raccontato di questa sua casa a Tolone, mi aveva anche mostrato foto e invitato a trascorrere un periodo da lei. Si perdono tutti i contatti con l’esterno, ci si concentra sul proprio corpo e sulla propria mente, si fanno meditazioni, si recupera l’equilibrio.
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_ No, anche io sono profondamente occidentale. Almeno credo. Ma non per questo rinnego tutto quello che è diverso, esterno… Sì, E’ così. Avevo già fatto un altro periodo con Valérie nel Giura, l’anno scorso e dopo un primo smarrimento - forte smarrimento - devo dire che sono riuscita a concentrarmi e ottenere dei risultati. Alla fine del soggiorno mi sentivo più distesa, sentivo di controllare i muscoli alla perfezione, mi sentivo, come dire, più dilatata, capace comunque di reazioni energiche, non mi sentivo astratta, ma più padrona delle situazioni grazie a una certa consapevolezza del valore delle cose. Non so se riesco a spiegarmi. Sai bene quanto mi agiti se devo fare più di tre cose di fila. poi risolvo tutto, ma il senso del dovere, la voglia di non deludere chi mi ha caricato di una responsabilità, forse la voglia di non deludere me stessa dalla quale pretendo solo il massimo, mi porta a faticare molto, prima di essere soddisfatta di me.
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- Fiume in piena. dici giusto. Ricorda queste parole che riferisci a me e ascolta cosa mi è capitato.
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- come disturbata, come ti permetti? antipatico! Insomma ho telefonato a Valérie, ci siamo messe d’accordo, lei era felice di sentirmi. Allora mi sono fatta prestare la macchina da Matteo
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- Per fortuna sì. vecchia, ma funzionante. E’ una buona automobile, magari difficile da usare in città, ma dà un senso di sicurezza.
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- No, lasciami raccontare. Ho preso la macchina di Matteo, ti dicevo, e mi sono avviata verso Tolone. Autostrada fino a Hyeres, poi ho deciso di fare la strada normale, che è decisamente bella, tra le colline con il mare a sinistra che ti fa compagnia. Mi sentivo serena, il tempo era splendido. Sapevo che mi aspettava un periodo di dolore, perchè comunque ti devi forzare per fare uscire gli umori negativi, devi lavorare su te stessa con energia, fatichi. Però sapevo che ne valeva la pena. Arrivo a Tolone in un paio d’ore e la casa di Valérie devo dire è veramente bella. Immersa tra olivi e piante mediterranee con una enorme terrazza sul mare in posizione dominante sui calanchi che cadono a strapiombo a est di Tolone.
Valérie, molto premurosa mi mostra la camera dove devo dormire e nella quale alloggiano anche altre tre donne. Simpatiche. Due sui cinquanta e una ragazza di Lille sui trenta.
Avevo un futon molto semplice, anche un po’ troppo “monacale”
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- Lo ammetto, un po’ scomodo. In questi soggiorni si indossa solo una tunica. Non si può tenere altro con sé. Solo il minimo indispensabile per la pulizia personale e un paio di sandali bassi.
Mi sono sdraiata un’oretta, a non fare nulla, assaporando il rilassamento che mi avrebbe dato quel periodo.
Poi, prima di cena siamo scese, io e le mie compagne di stanza, e nell’atrio abbiamo incontrato gli altri ospiti. Saranno stati una dozzina in tutto. C’era uno che conoscevo, che avevo già incontrato nel Giura. Un bell’uomo, alto, massiccio, capace di far concentrare l’attenzione su di sé.
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- Senti, Willi. Allora non mi conosci. A parte il fatto che non sono capace di essere infedele, di Matteo sono innamorata. E poi quel tipo anche se oggettivamente bello e se vuoi magnetico, aveva qualcosa che mi incuteva un certo timore, mi teneva in guardia.
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- Sono d’accordo. Insomma questo tipo mi inquietava forse anche perchè sia lui che Valérie hanno subito cominciato ad essere un po’ troppo premurosi con me. Lui, questo Werner, dal momento in cui mi ha vista ha cominciato a circondarmi di gentilezze, a parlarmi di sé, a raccontarmi dei suoi viaggi in Oriente, del suo lavoro - deve essere un finanziere - e dell’incontro con Valérie e con la sua disciplina del corpo e della mente…
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- Penso anch’io, ma non lo avevo colto subito. Pensavo sinceramente più a una semplice voglia di protagonismo, sai questi manager che hanno bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione…
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- Willi! Non essere volgare, parli come Matteo!
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- Sì, ma delle reazioni di Matteo ti dirò poi. Ho cercato di stare sulle mie, di concentrarmi su di me e sul mio benessere. Ma sia Valérie che Werner mi pressavano. Dovevo vincere il disagio iniziale, che imputavo al fatto di essere arrivata da poco in quel gruppo di persone che volevo ritenere amiche. Abbiamo parlato un po’ del più e del meno, poi Valérie mi ha invitato nel suo ufficio per parlare con me e questo è normale. Quello che mi risultò strano fu all’uscita dalla stanza di Valérie incontrare Werner che casualmente passava di lì… E dai a farmi complimenti, a chiedermi di incontrarlo a Parigi, a cercare di approfondire diciamo la conoscenza…
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- Certo, che sono capace di tenere a bada gli uomini, ma l’atmosfera era strana. Non sapevo cosa dovevo fare. Cercavo di restare tranquilla, di non dar peso a quella presenza, ma lui non mi dava tregua. Io volevo solo stare rilassata, stare bene e trovare pace, mi capisci?
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- Beh, dopo due giorni non ce l’ho fatta più. Werner la mattina mi è entrato in camera e si è messo per terra accanto al letto su cui stavo ancora e si è messo a fissarmi. Le altre erano già scese. Ho avuto paura. Sono schizzata in piedi e gli ho chiesto cosa volesse da me. Niente, fa lui. Semplicemente osservarti. Ti rendi conto? Non sono così scema…
Gli ho nuovamente chiesto cosa volesse da me. Ero furiosa, ma lo sai, non lo dimostro. Sembravo controllata. Quel bellimbusto si alza, fa per avvicinarsi a me e alza le braccia. Lentamente, come se mi volesse abbracciare. Mi dice “non voglio niente da te, rilassati.” Forse mi ha detto “ti faccio un massaggio” o qualche scemenza del genere.
Non ho aspettato altro. Ho saltato il letto, ho preso le mie cose e sono schizzata di sotto senza guardarlo. Valérie era nel suo ufficio. Sono entrata da lei sbattendo la porta e le ho chiesto come permetteva a un tipo come quello di frequentare la sua casa, raccontandole tutto.
Lei mi ha elargito un ameno e distensivo sorriso. Ha posato la penna, si è alzata ed è venuta ad abbracciarmi. Poi ha iniziato a farmi un massaggio alle spalle, senza dire nulla. Mi ha fatto calmare, poi ha iniziato a dirmi di non preoccuparmi, che Werner era un amico e che dovevo assecondarlo se volevo veramente ottenere il massimo dal mio soggiorno da lei.
-…
- Esatto. Le ho risposto che non volevo assecondare uomini che non fossero il mio. Lei mi risponde che non dovevo fraintenderla e che da quanto lo conosceva, Werner da me non voleva altro che amicizia e forse un po’ di confidenza. Mi sentivo quasi convinta. Pensai che forse avevo esagerato e feci per tornare in camera. Ma come esco ti trovo il sorriso rassicurante di Werner dietro la porta.
Ti giuro: mi sono spaventata. Ha svicolato. sono corsa all’ingresso, dove c’è il guardaroba ho preso la mia borsa e sono fuggita. Salire in macchina e uscire dalla villa sgommando è stato un tutt’uno.
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- Aspetta! non è finita. Uscendo, non mi ero resa conto del tempo che faceva, se c’era traffico, che ora era, che direzione avrei dovuto prendere…semplicemente volevo sfuggire a quella situazione il più velocemente possibile. Come un automa.
- …
- Pensa che uscendo, senza riflettere mi sono diretta verso il centro città, scendendo per gli ultimi tornanti della strada costiera. Volevo andare verso l’autostrada, anche se non avevo la più pallida idea di dove fosse. Trovo delle indicazioni, le seguo e forse, in quel momento ho ritrovato un po’ di lucidità. Quel tanto che mi bastava per rendermi conto che avevo freddo, vestita di una sola tunica e che il cielo era completamente bianco. Sai cosa vuol dire un cielo bianco, compatto, senza uno sprazzo di sereno… Però era un cielo luminoso, diverso da quello di Parigi. Sto dicendo delle ovvietà, forse, ma è per dirti che mi colpì questa luce forte, che si percepiva. Scusa, riprendo a raccontarti. Finalmente trovo delle indicazioni, ero molto agitata… no, forse il termine agitata non è corretto. Non so come definire il mio stato d’animo con una sola parola. Ero scossa, delusa, svuotata. Per me Valèrie rappresentava un punto fermo e invece la cosa che era successa nella sua casa… come dire, la sentivo complice, colpevole, forse la causa di quanto era successo. Credevo e credo ancora che sia stata lei a intervenire su quel Werner perchè mi facesse quella corte pressante.
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- Non ti credere che interrogandomi sulla cosa non abbia avuto mille dubbi e abbia pensato la stessa cosa che dici tu ora, eppure, sempre mi torna la sensazione che sia come ti dico.
Ma scusami Willi, devo continuare a raccontarti, perchè non è finita, c’è un altro fatto strano in questa storia. Avevo trovato delle indicazioni per l’autostrada, come ti dicevo e le stavo seguendo con attenzione. Vivevo quei cartelli come una via d’uscita. Non ridere. Certo, ero stata così male, che quelle indicazioni mi stavano portando non verso l’autostrada, ma verso il recupero dell’equilibrio, dell’energia. E in realtà stavo recuperando velocemente lucidità. Volevo telefonare a Matteo, per avvertirlo che sarei tornata da lui entro sera, e sentire la sua voce, volevo un po’ di sicurezza.
Niente. In borsa il portatile non si trova. Stavo ricominciando ad agitarmi. A quel punto - ero su un viale molto bello, di platani, che saliva verso le colline - trovo un posto per fermarmi. C’era pochissimo traffico, quindi non ho avuto difficoltà. Accosto, freno, spengo e mi sono chiusa in macchina. Ero ancora molto nervosa. Mi metto a frugare nella borsa, alla ricerca del telefono che finalmente trovo. E sono anche riuscita a chiamare Matteo. Un sollievo. … Sì era in casa. Non gli ho raccontato tutto. Non volevo farlo preoccupare. E poi pensavo che nel tragitto fino a casa avrei avuto il tempo per riordinare i pensieri, per chiarire alcune cose. E’ stato felice di sentirmi. Sa essere così carino… Mi ha fatto venire voglia di abbracciarlo. Lo sai, gli basta una battuta. Ora nei miei pensieri si stava insinuando una immagine calda, piacevole. Pensavo a lui che mi accoglieva con uno sguardo da dietro alla finestra e che mi allargava il suo sorriso aprendomi il cancello. Stava avvolgendomi, riportandomi tranquillità. Credo che tu possa capire, ti giuro ho avuto così paura. Finita la telefonata non sono ripartita subito. Ho chiuso gli occhi con il telefono in mano e ho aspettato un po’. Sentivo che avevo bisogno di recuperare energia. Però mi sentivo più sollevata. Ed ecco che capita la cosa più assurda e strana di tutta la faccenda. No, non è finita, non ridere sciocco! Sai cosa mi ha fatto riaprire gli occhi? Il rumore della pioggia. Nel sud, in primavera è frequente che ci siano acquazzoni improvvisi. Sono violenti, anche pericolosi. E’ stato un attimo. Prima poche gocce sul cofano, poi, in lontananza uno scroscio compatto e un’immagine bellissima. Un muro d’acqua che cadeva a pochi metri dalla mia macchina. Sìì! Intorno a me poche gocce sparse e più in là, sulla strada una vera pioggia tropicale, un muro ti dico. Il cielo era tutto ugualmente coperto, bianco e compatto. Non sapevo cosa fare, se stare ferma, scendere e rifugiarmi in un portone, partire lentamente e riprendere il cammino… Tra tutte le alternative ho scelto la terza, la più stupida in effetti. Sono entrata in quella massa violenta di acqua. L’impatto della pioggia sulla macchina è stato fortissimo, non potevo immaginarlo. Pensa, la macchina di Matteo, non è più nuova, ma è sempre una berlina robusta, lui la tiene abbastanza bene. Il tergicristalli alla massima velocità faceva fatica a muoversi e in realtà non serviva a nulla. In più, il rumore! Non avrei potuto pensare ad altro anche se avessi cercato di concentrarmi. Ora sì dovevo essere spaventata. No, non voglio dire che quella pioggia mi era servita a ridare il giusto valore a quello che era successo prima, da Valèrie. Voglio dire che mi ha costretta a liberarmi di quello sgradevole… ecco! sgradevole è il termine giusto per definire la sensazione con cui sono uscita da quella casa. Scusa stavo dicendo che mi sono immediatamente liberata dal ricordo di Valèrie, perchè dovevo affrontare questa nuova situazione di pericolo. Il rumore era impressionante: fortissimo. E poi non vedevo nulla! Non potevo andare né avanti né indietro, non mi sentivo di accostare, di fare la benché minima manovra. Sarei sicuramente andata a sbattere da qualche parte…
Non accennava a diminuire. Intensa, incessante e io lì, in mezzo a quella pioggia. Senza poter fare né pensare a nulla. Ti assicuro. Ero con il freno tirato, i fari accesi, i lampeggianti in funzione… Mi sono anche messa a suonare il clacson a intermittenza per segnalare che ero lì. Cosa assurda, perchè con il rumore di quella pioggia, nessun mi avrebbe sentito se non dopo avermi tamponato. A un certo punto deve essersi alzato vento, perchè la pioggia ha cominciato a muoversi a raffiche. E mi ha permesso di vedere qualcosa fuori dal finestrino.
- …
Lo so che il mio racconto è angosciante, Willi, ma era la situazione ad essere angosciante! Allora, pioggia a vento, non di minore intensità, ma almeno con degli sprazzi di visibilità. Dalla discesa su cui mi trovavo con la macchina scendeva ormai un vero fiume d’acqua. No, non fango. Era acqua che mi sembrava pulita. Però era un vero fiume. Avevo fatto bene a non muovermi, perchè accanto a me c’erano macchine parcheggiate. Potevo solo stare ferma, impotente. Intanto la pioggia continuava e la strada era diventata un vero torrente. Avevo capito cosa sarebbe successo, ma non sapevo cosa avrei potuto fare per evitarlo. L’acqua cominciò a far muovere la macchina. Guarda, non sai come sono felice di poter essere qui a raccontarlo. Guardo dietro, fuori dalla macchina e intravedo che la strada continua in discesa diritta per parecchio, in fondo - forse a un chilometro - c’era una rotonda. La macchina che è pesante, ha cominciato a slittare, poi si è messa di traverso, poi si è sollevata. Mi sono sentita persa. Sarei voluta uscire. Ma sarebbe stato peggio. Volevo mettermi a piangere. Mi sono messa a urlare come una pazza. A schiacciare sul clacson, a cercare se vedevo una persona, qualcuno che potesse aiutarmi… la macchina era diventata una barca, in balia di un fiume in piena. Velocissima. Ho sentito parecchi urti. Non avevo più nessun controllo. Ero in balia della corrente. A un certo punto un colpo più forte mi ha fatto picchiare la testa contro il finestrino. Il rumore dell’acqua sulla macchina era più forte, in compenso mi ero fermata. Ho cercato di capire cosa era successo. Probabilmente, da una strada laterale l’acqua aveva spinto sul viale altre auto che avevano formato una specie di diga e io ci ero finita contro. Stavo piangendo, sentivo freddo, avevo la testa dolorante, non sapevo se sarei sopravvissuta… l’acqua continuava a correre addosso alla macchina che per fortuna resisteva alla sua violenza. Saranno passati ancora dieci minuti buoni in queste condizioni. Poi mi sono resa conto che stava smettendo di piovere. La pazzia del tempo nel sud della Francia. Lo sai bene, è stranissimo. Così quasi d’improvviso. Adesso vedevo. La macchina era poggiata contro un tronco a sua volta poggiato contro un camioncino. Intanto, anche se la pioggia era ridotta a poche gocce, dal viale il torrente continuava a fluire con forza. Mi resi conto che il pericolo non era finito. Non potevo scendere dalla macchina e in più, con la corrente sarebbe potuto arrivare qualche grosso detrito, non so, un’auto, un tronco e mi avrebbe potuto colpire in pieno. Per giunta non sapevo quanto solido fosse il punto di sostegno al quale la mia macchina era appoggiata! Guardavo con terrore verso la montagna e poi verso la città. E mi sono resa conto che avevo le gambe rattrappite. Era entrata acqua fino quasi all’altezza del sedile. Ho sollevato di scatto le gambe mettendole sul sedile accanto e sono nuovamente scoppiata a piangere. E’ assurdo. Io, che sono sempre alla ricerca del controllo, che sono a disagio se non sono padrona delle situazioni, ero in balia di altro. Sì, altro, qualcosa con il quale non riuscivo a instaurare un dialogo. Ti sembrerà folle questa visione, ma è esattamente quella che ho avuto. Perché se riesco a dialogare con le persone, spesso poi riesco a controllare i rapporti che costruisco. Invece in quella situazione -nella quale peraltro mi ero cacciata io - non avevo possibilità di tenere sotto controllo le cose. Era come se fossi stata violentata. Prima da due persone che da me volevano qualcosa, volevano essere loro a dominarmi, a possedermi, poi da questo fiume, così … totalizzante. Stavo facendo questi pensieri, quando l’acqua cominciò a calare. Prima smise di sbattere sui vetri, poi progressivamente e molto rapidamente il livello prese a calare. In pochi minuti si ridusse a dei rigagnoli che scorrevano lungo la strada. Avevo la borsa da qualche parte in cabina. Era sul sedile dietro. Avevo un freddo incredibile. Con un calcio sono riuscita ad aprire la porta accanto, che non era poggiata contro il tronco. Non ti immagini la quantità di acqua che ne è uscita! Poi sono riuscita a prendere la borsa, mi sono infilata un paio di jeans quasi asciutti e fregandomene del fatto che qualcuno mi avrebbe potuta vedere, mi sono tolta il vestito e infilata un maglione. Il rumore dei rigagnoli continuava ad essere l’unico della scena. Per il resto un silenzio surreale e in giro non c’era nessuno. Ho provato a tastarmi. Prima le braccia e le gambe, poi la testa, le dita delle mani, le spalle. Sembravo tutta intera. Mi sono decisa a uscire dalla macchina. Ero lì, in piedi accanto alla macchina di Matteo semidistrutta, cercando di chiamarlo al telefono quando… mi sveglio! Sì, Willi. Un sogno! Ma ti rendi conto? In realtà ero a letto, con Matteo accanto che ronfava e io non ero neppure sudata o scoperta, chessò, qualcosa che mi indicasse il motivo di un simile sogno! Certo, sogno, non incubo. Mi sento di chiamarlo così perchè ci ho pensato e ripensato. E non lo ritengo un incubo, perchè credo che tutti i passaggi che ho vissuto… Sì, ripeto sì, vissuto. Ho vissuto un sogno. Ti rendi conto, Willi, ho vissuto un sogno. Sono stata così contenta di essermi svegliata, con Matteo, essere a letto, tranquilla, serena, con l’unico problema che poteva essere svegliare il mio Matteo per fare colazione con lui, guardarlo, farmi guardare, giocare, e lui era tutto rannicchiato in posizione fetale che dormiva come un ghiro e sembrava sognare… lui sì, sembrava, sognare. o forse lui sognava realmente?
Renato Sarli ©
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